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I pirati delle montagne

di Carlo Greppi Rizzoli, 2023

Un uomo seduto sui gradini all’ingresso della sua casa attende, da ore, l’arrivo di una persona molto importante per lui. Il freddo di un tramonto invernale comincia ad essere pungente e la moglie invano cerca di convincerlo a rientrare in casa. 

"Il mio comandante lo aspetto qui” dice alla moglie lanciandole un’occhiataccia: “Tu rientra pure”.

Inizia così la narrazione di Carlo Greppi, in una notte d’inverno di inizio gennaio del 1970, molto tempo dopo la fine della guerra, gli avvenimenti e le avventure che riempiranno le pagine di questa meravigliosa storia, il racconto di giovani e coraggiosi ragazzi e ragazze che dal settembre del 1943 fino al 1945 si sono battuti nella convinzione che “la lotta del ribelle è la lotta per l’ideale di ogni uomo e di ogni donna di tutte le forme e di tutti i colori” (p.56).

A seguirne e mostrarne i passi è il più giovane della compagnia, Giorgio conosciuto da tutti come il Mozzo. Costretto a scappare a soli 13 anni dalla sua casa e dalla sua famiglia, bersaglio di una serie di spari da parte di un gruppo di fascisti, cerca rifugio tra le montagne sopra Framonti, un luogo immaginato e allo stesso tempo tanto reale da permetterci di riconoscere quei contadini dai lunghi baffi che per poche lire e di nascosto riforniscono la compagnia di patate e pane nero.

Tenuto sempre al sicuro dalle pericolose imprese che i "Pirati delle montagne" mettono a punto, condivide la sua nuova “casa”, la Tortuga, con Walter, primus inter pares, Boris, Gordon, Ester, Dimitri, Tony, Carlos, Ada, Kurt, Jean e molti altri che nel tempo si sono aggiunti, spinti dal desiderio di combattere per la stessa battaglia oppure per causa di forza maggiore. Caratterizzati da origini, tradizioni, lingue e storie diverse, vivono al riparo delle creste delle montagne “(…) che sembrano irraggiungibili poi dopo dieci venti o quaranta minuti di cammino di colpo sono lì, (…), inizi a vedere i dettagli della roccia e degli alberi e persino qualche camoscio, se sei fortunato, e mentre ti perdi in queste immagini di colpo sei in cima, dove fino a poco prima credevi che non avresti mai avuto la forza di arrivare” (p.103).

Carlo Greppi, tra le avventure di personaggi inventati in luoghi di fantasia, ci presenta una pagina drammatica della storia del Novecento e della Resistenza, in un linguaggio accessibile alle giovani generazioni a cui il libro si rivolge. Sarebbe riduttivo pensarlo solo come un romanzo storico: tra le pieghe della vicenda, pagina dopo pagina, l'autore propone di riflettere insieme a lui su tematiche dolorosamente attuali.

Ricorda, infatti, che la guerra non nasce da sé, non è un evento soprannaturale incontrollabile “come un terremoto, o un’alluvione. No, la guerra era stata la somma delle scelte di ognuno: erano state quelle scelte ad aver tenuto insieme quell’accozzaglia di banditi e fuorilegge di tutte le nazioni che, alla fine, qualcosa di nuovo, per quanto fragile e da difendere, l’aveva costruito per davvero” (p.278). 

Non ne nasconde le atrocità che la caratterizzano; racconta la morte di ragazzi e ragazze poco più che ventenni con delicatezza e profonda umanità. “Era spirato tra le braccia dei suoi nuovi amici, fratelli nella lotta, che lo accarezzavano e gli tenevano dolcemente le mani sulla bocca, perché da fuori non si sentisse il rumore che fa un ragazzo che lascia troppo presto questo mondo, perché ha creduto di poterlo cambiare” (p.223).

Greppi parla di perdita e lutto con attenzione, cura e realtà, trasmettendo con semplicità ciò che è davvero difficile da comprendere se non si è vissuto. “Il suo sguardo si velò di una tristezza senza fondo, quello di una figlia che perde la madre, di una sorella che vede il fratello cadere, quello di una giovane donna ferita ma mai piegata, che sa che cosa significa lottare, e che non vuole perdonare.” (p. 186).

Osserva e descrive il cambiamento di Giorgio, suo malgrado costretto a crescere troppo in fretta, il cui sguardo, dapprima confuso e incerto, ancorato alla speranza di ricongiungersi alla sua famiglia, diventa sempre più drammaticamente consapevole e responsabile. Giorgio non dimentica chi ha tanto amato e perduto, una sofferenza che gli procura “quel male al petto che lo prendeva anche di giorno”, e ammette dolorosamente a sé stesso “… che non è giusto. Che una cosa del genere, farsi la barba la prima volta, anche se di barba ce n’è ben poca, in tutta sincerità, tu non la possa imparare dal tuo papà”.

L’autore non perde occasione per ricordarci quanto sia importante il linguaggio che si sceglie di utilizzare nella vita quotidiana, avverte della pericolosità di chi superficialmente preferisce generalizzare piuttosto che imparare a conoscere “Devi dire nazisti, Mozzo, non tedeschi” e l’attenzione che si deve prestare nell’esprimere idee e pensieri “Come se le parole potessero uccidere da sole, e per impedire loro di farlo bisognasse togliere loro importanza” (p.54). 


Infine ribadisce con forza in diversi punti del romanzo che non si può ricostruire e cambiare se si è ostinati nel rimanere sulle proprie posizioni, senza porsi all’ascolto e in relazione con l’altro, se non si ha “forza e coraggio per “vincere senza opprimere a nostra volta e per perdonare senza dimenticare”. Perché si può “amare e onorare sopra ogni cosa la Patria”, ma non si deve dimenticare “che tu sia inglese o tedesco, americano o spagnolo, russo o italiano, cecoslovacco o polacco, etiope, brasiliano o neozelandese, dove c’è la libertà, o dove si sta combattendo per ottenerla, lì è la tua patria.” (p.191)

Al termine del romanzo, le note di Greppi sono fondamentali per comprendere le tante ispirazioni storiche, documentali e letterarie che hanno dato origine a Pirati delle Montagne, che ci auguriamo insieme all'autore siano l’occasione per dare inizio a nuove riflessioni ed altre letture.

Cristina Dal Min, Educazione Gariwo

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