Negazionismo dopo il genocidio
1927: Mustafa Kemal, fondatore delle Repubblica Turca, al secondo congresso del partito popolare repubblicano, pone le basi della storiografia ufficiale negazionista della Repubblica turca. Fatta propria l’ideologia nazionalista, Kemal parla di minoranze immorali e utilizza solo gli eventi storici che mettono le minoranze in una luce negativa. Il risultato è, come osserva Marcello Flores, quello di avviare il processo di separazione ed espulsione degli armeni dalla storia dell’Impero Ottomano e di espellere gli armeni sopravvissuti. I decreti di deportazione emanati precedentemente vengono annullati, ma non il decreto di confisca dei beni abbandonati.
1930: Fondazione della Società Storica Turca e dichiarazione che i provvedimenti presi verso gli armeni erano necessari al fine di costruire una grande nazione e un corpo sociale turco compatto. La Società Storica Turca aggiunge che i turchi sono stati da sempre gli abitanti originari dell’Anatolia e gli Ittiti, peraltro indoeuropei, gli antenati degli odierni turchi. Nasce la riscrittura della storia a scopo politico.
La diplomazia turca si adopera in tutti i modi perché i massacri armeni non vengano neppure menzionati e anzi spariscano dalla memoria delle nazioni. Vengono creati tabù per evitare che la società turca ricordi fatti emotivamente dannosi: ci doveva essere un nuovo inizio.
1945: La Turchia diventa membro dell’ONU, poi nel 1948 firma la Convenzione sul genocidio e mano a mano che le pressioni da parte armena aumentano, inizia un lavoro di negazione “scientificamente impostato”. Si cerca di smontare le prove e si sostiene l’assenza dell’intenzione criminale da parte del governo dei Giovani Turchi. Si vuole soprattutto nascondere la pianificazione e l’intenzionalità del crimine, condizione sine qua non della possibilità di farlo rientrare nella categoria giuridica di “genocidio” adottata dall’ONU nel 1948, con le conseguenze che conosciamo: imprescrittibilità e risarcimento.
Ad Ankara nascono veri e propri laboratori di disinformazione, che organizzano la versione turca delle cause e degli eventi del “presunto genocidio”. Vengono contestati i documenti raccolti da lord Bryce e Toynbee, si rifiuta il Diario dell’ambasciatore americano Henry Morgenthau, i libri di Johannes Lepsius, gli scritti del console italiano Giacomo Gorrini, i resoconti dei missionari.
1989: il Ministero degli Esteri turco, con un atto che voleva essere clamoroso e finalizzato a smentire gli storici non negazionisti, dichiara di aprire gli archivi. Poi si scopre che i documenti disponibili arrivano sino al 1894, e che si sono creati due percorsi paralleli, uno per gli storici turchi e uno per gli stranieri.
Nasce in questi anni una schiera di storici occidentali negazionisti e vengono istituite cattedre di ricercatori sovvenzionate dalla Turchia che ripropongono sulla base di pretesi “dati scientifici” le tesi negazioniste: Heath Lowry, Justin McCarthy, Stanford Shaw e Bernard Lewis che nel 1995 è stato condannato dal tribunale di Parigi a una ammenda simbolica per avere negato il genocidio.
Perché negare il genocidio armeno oggi?
In Turchia oggi l’articolo 301 del Codice penale configura come reato parlare di genocidio armeno: farlo significa attaccare il potere che custodisce la verità storica, e quindi diventa un attacco all’identità nazionale.
I turchi di oggi non sono responsabili del genocidio, ma la negazione continua perché si tratterebbe di stravolgere la costruzione storiografica che regge dagli anni ’30 per lasciare il posto alla verità storica, con la conseguenza di dover fare emergere la realtà armena accuratamente espulsa dall’orizzonte della nuova Turchia. Si porrebbe inoltre anche il grave problema dei risarcimenti o delle riparazioni.
Vi è alla base della Turchia Repubblicana un “peccato originale”. È nata sul genocidio politicamente ed economicamente, e sono confluiti in essa i maggiori responsabili dell’apparato del Comitato Unione e Progresso. I padri della patria turca verrebbero identificati con i carnefici. La Turchia non potrebbe condannarli se non a patto di rinnegare se stessa. In questo quadro, sono quindi di estrema importanza le parole di Papa Francesco, che nell’omelia del 12 aprile 2015 - in occasione del centesimo anniversario del Metz Yeghern - ha definito lo sterminio degli armeni come “primo genocidio del Novecento”.