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Studenti musulmani a scuola. Pluralismo, religioni e intercultura

di Antonio Cuciniello e Stefano Pasta Carocci Editore, 2020

Togliere il crocifisso, lasciare il crocifisso. Il dibattito, tutto politico, sulla scuola italiana va avanti da anni. I crocifissi per ora stanno dove sono, ma il dialogo non è avanzato di un millimetro. Se nelle scuole francesi alle ragazze di origini musulmana è stato proibito - proibito! - di indossare l’hijab perché "non conforme ai valori della repubblica", nelle scuole italiane si ondeggia tra la necessità di integrazione, senza distinzione di razza o religione come recita la nostra Costituzione, e la rigidità di chi vorrebbe i simboli della religione cristiana unici ad essere autorizzati. 

Su questi temi che non possono essere ridotti a dibattito accademico o politico, ma hanno una ricaduta nella vita reale di quasi 3 milioni di musulmani che vivono nel nostro Paese, e tra loro molti sono genitori o studenti, c’è stato un intenso lavoro di ricerca e non solo da parte dell’Università Cattolica di Milano, di cui si dà ampio resoconto in questo Studenti musulmani a scuola Pluralismo, religioni e intercultura, curato da Antonio Cuciniello e Stefano Pasta, pubblicato da Carocci Editore. Antonio Cuciniello, arabista e islamologo, ha conseguito un dottorato di ricerca in Studi umanistici, tradizione e contemporaneità all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove è assegnista di ricerca in Storia dei paesi islamici. Stefano Pasta, dopo aver conseguito un dottorato in Pedagogia, è assegnista di ricerca in Didattica e pedagogia speciale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Metodologia delle attività formative e speciali. Questo libro, promosso dal Centro di ricerca sulle Relazioni interculturali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nasce dal progetto PriMED – Prevenzione e interazione nello spazio trans-mediterraneo, che ha visto il coinvolgimento di 22 università italiane e straniere e il sostegno del MIUR Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. 

Si tratta di una grande rete di cooperazione scientifica e culturale che ha unito studenti, ricercatori e docenti italiani e dei Paesi dell’OCI Organizzazione della conferenza islamica, con lo scopo di attivare una capillare opera di formazione sulle politiche dell’integrazione e sul contrasto alla radicalizzazione, al di là di una visione legata solo ai problemi della sicurezza ma incanalata in un’analisi più approfondita sui mille aspetti che concernono il problema. Perché, come scrivono i curatori nell’ampia introduzione: «Le difficoltà di integrazione dei gruppi più chiusi e il pericolo del terrorismo hanno portato a ritenere il multiculturalismo responsabile dell’insicurezza e della frammentazione sociale nei Paesi europei che l’avevano adottato (…) Il "fallimento" del multiculturalismo non può essere attribuito a un eccesso di apertura (troppe concessioni ai diversi), ma esattamente al contrario. (…) In alcune città europee le comunità etniche hanno ricevuto in vari casi riconoscimento e rispetto, ma sono state anche isolate e a volte segregate urbanisticamente, socialmente e culturalmente». 

Diventa allora chiaro che ridurre tutto a crocifisso sì crocifisso no, come si è fatto in modo manicheo da noi, serve a meno di niente. Il vero problema è invece cosa rispondere a quelle centinaia di migliaia di bambini musulmani che a scuola chiedono di non essere schiacciati nella loro identità o, ancora peggio, di non essere relegati in classi ghetto per stranieri. Al corpo degli insegnanti è invece chiesto come fornire gli strumenti culturali a questi bambini e ragazzini che ogni giorno sui social si trovano di fronte ad espressioni islamofobiche sempre più dilaganti. Non facendolo si corre il rischio enunciato nel capitolo scritto da Anna Granata, ricercatrice in Pedagogia generale e sociale dell’Università di Torino nonché docente di Pedagogia interculturale presso il corso di laurea in Scienze della formazione primaria: «Nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, le questioni identitarie prendono ulteriormente il sopravvento: con tentativi di mimetizzarsi e negare la propria identità religiosa, ma anche col rafforzamento della stessa, talvolta in chiave oppositiva e violenta. 

I fenomeni di islamofobia e di violenza di genere si acuiscono e a farne le spese sono soprattutto le ragazze musulmane». Cose che si possono evitare se la scuola diventa luogo di integrazione e non di emarginazione, se il dialogo prende sopravvento anche di fronte agli isterismi di chi pensa che il crocifisso sia ancora oggi un’arma per vincere le crociate. Architrave di tutto questo basterebbe applicare le risoluzioni del MIUR del 2007 e del 2015, più volte citate in questo libro. Dove nel 2017 il ministero, nel documento La via interministeriale per la scuola interculturale, scriveva: «Allargare lo sguardo degli alunni stessi in chiave multireligiosa, consapevoli del pluralismo religioso che caratterizza le nostre società e le nostre istituzioni educative e della rilevanza della dimensione religiosa in ambito interculturale». Cosa sottolineata dal MIUR pochi anni dopo dove si fa necessità del convivere in una pluralità diffusa: «Imparare a conoscersi, superare le reciproche diffidenze, sentirsi responsabili di un futuro comune». Su questo, lo si capisce leggendo questo libro, ci giochiamo il futuro.

Fabio Poletti, giornalista, NuoveRadici.world

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